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Piantedosi «Migranti, altri 5 Cpr, Election day per i referendum»
di Alessandra Ziniti
Cinque nuovi Cpr in Italia e un altro centro di trattenimento per i migranti che arrivano da Paesi sicuri. E voto per le amministrative e referendum, in un’unica tornata in primavera, annuncia a Repubblica il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi.
Ministro, l’avanti tutta con i rimpatri che lei e Giorgia Meloni avete ribadito ai questori e prefetti riparte dunque dall’Italia più che dall’Albania?
«Abbiamo dato una chiara indicazione alle strutture territoriali, dopo averle rafforzate nell’organizzazione e nelle risorse umane e strumentali per ottenere questo obiettivo. L’indicazione è che migranti irregolari con precedenti e pericolosi per la sicurezza dei cittadini vanno rimpatriati. In molti casi ricercandoli se già noti agli uffici, senza attendere nuove occasioni di rintraccio. Questa scelta, che abbiamo dato come vero e proprio obiettivo prioritario, sta dando i suoi frutti: siamo già a un più 35% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno che pure aveva fatto registrare una crescita. Confidiamo di fare ancora di più e meglio. Si tratta di persone pericolose: non so se c’è qualcuno tra i nostri oppositori che possa ritenere giusto che restino in Italia, noi no»
E per far questo servono altri Cpr? Da due anni ne annunciate uno per regione e invece avete puntato tutto sull’Albania.
«Non è vero che siamo fermi al palo. Abbiamo individuato ben cinque nuovi siti dove realizzare Cpr e per due di essi abbiamo già affidato e realizzato gli studi preliminari e contiamo di partire con l’affidamento della realizzazione entro primavera. Abbiamo riattivato oltre 700 posti precedentemente resi inagibili da atti di vandalismo e siamo prossimi alla riapertura del Cpr di Torino. Abbiamo realizzato sul territorio nazionale due strutture di trattenimento per le procedure di frontiera, come quella in Albania, e un’altra è in via di progettazione. Andremo avanti con convinzione ma ci siamo attivati per incrementare le espulsioni anche a prescindere dai Cpr, come testimonia il fatto che i rimpatri stanno aumentando».
E i centri albanesi che fine faranno? Cpr o aspettate la decisione della Corte di giustizia europea?
«I centri in Albania sono pronti ad accogliere altri immigrati e sono già organizzati per esprimere più funzioni, una parte è già destinata a Cpr. Avere rimesso la questione di diritto alla Corte di giustizia europea può solo ritardare la loro entrata in pieno funzionamento, che avverrà al più presto nell’una e nelle altre funzioni. E intanto abbiamo incassato una prima udienza favorevole alle nostre tesi, alle quali hanno aderito molti Paesi e anche la Commissione europea. Il progetto sta assumendo sempre più le caratteristiche di interesse europeo e chi, al contrario, sta investendo nel suo fallimento dovrà, prima o poi, farsene una ragione».
In primavera gli italiani saranno chiamati al voto per amministrative e referendum. Avete deciso come e quando?
«Nell’ottica di favorire la partecipazione al voto dei cittadini contrastando l’astensionismo stiamo lavorando ad un provvedimento per consentire il voto su due giorni, abbinando la consultazione per i quesiti referendari alle amministrative di primavera. Le regioni che vanno a scadenza in autunno seguiranno le regole previste dalle rispettive norme elettorali. Sarebbe importante trovare il modo perché convergano verso un’unica data concordata».
Per lei le ultime settimane sono state particolarmente complicate, si è ritrovato pure sfiduciato sui social da Andrea Stroppa, l’uomo di Musk in Italia. Fuoco amico?
«I social network hanno aggiunto elementi di vitalità alla libertà di espressione di chiunque, ma vanno sempre letti con ponderazione. Li seguo senza riserve e le potrei dire che colgo altrettante espressioni di apprezzamento del lavoro che stiamo facendo in ambiti molto complessi. Assolutamente impensabile che ci possano essere manovre all’interno della maggioranza che è composta da persone intelligenti. Una investitura “social” così imbastita non mi pare possa agevolare l’auspicio che pure ha platealmente ispirato il televoto in questione. Per quanto mi riguarda ricopro il ruolo di ministro dell’Interno per spirito di servizio e non per ambizione personale. Con questa libertà di pensiero le dico che Salvini non solo è stato in passato ma sarebbe anche in futuro un ottimo ministro dell’Interno. Come suo capo di gabinetto, ai tempi si disse che contribuii ai successi di quella sua stagione al Viminale. Adesso che sono Ministro, seguendo fedelmente il programma di governo, non posso che rilevare la piena sintonia tra tutti i partiti di maggioranza su ogni tema o sfida che sono di pertinenza del Ministero dell’Interno».
Il governo non ha ancora detto una parola di chiarezza sul caso Paragon. La preoccupa lo spionaggio di giornalisti, attivisti, persino un sacerdote, con un software fornito solo ai governi?
«Le intercettazioni devono sempre ritenersi legittime in quanto sempre disposte o autorizzate dall’autorità giudiziaria nell’ambito di procedimenti che per loro natura sono coperti da riservatezza giudiziaria. Ecco perché faccio fatica a comprendere una polemica che si fonda sulla presunzione che si tratti di iniziative illegali».
Passiamo al caso Almasri, il generale capo della polizia giudiziaria libica con un impressionante curriculum criminale. Lei sapeva chi era prima che fosse arrestato a Torino il 19 gennaio scorso?
«Non è mai stato interlocutore mio o del governo per la gestione dei temi migratori o di altro. Non l’ho mai conosciuto e non ne conoscevo l’esistenza. Lo conosceva di certo la Corte penale internazionale che ha deciso di richiederne l’arresto e di mettercene a conoscenza solo quando questo soggetto è arrivato in Italia dopo essere stato lasciato libero di girare tutta l’Europa con l’avvertenza di non metterlo sull’avviso».
Certo, quel volo pronto sulla pista dell’aeroporto di Torino ancor prima della scarcerazione desta perplessità. Non sarebbe stato meglio parlare subito di ragion di Stato?
«Ho riferito sul caso ben quattro volte in Parlamento. Avere parlato in ognuna di queste occasioni di “sicurezza nazionale” e di “interessi nazionali” non le sembra un sufficiente riferimento alla ragion di Stato? Io credo che una parte dell’opposizione avrebbe avuto da ridire anche se ci fossimo comportati esattamente al contrario di come abbiamo fatto. Ma le posso assicurare che la stragrande maggioranza dei cittadini ha capito benissimo che abbiamo agito per l’esclusiva protezione degli interessi di sicurezza ed economici del nostro Paese».
Il calo dei flussi migratori nel 2024 è indiscutibilmente legato al funzionamento del patto con la Tunisia. Ma a che prezzo? Le violazioni dei diritti umani, le retate e l’abbandono nel deserto di migliaia di migranti da parte delle forze tunisine sono più che documentate. E lo stesso ovviamente vale per la Libia.
«I numeri degli arrivi irregolari calano non solo per l’accordo con la Tunisia e la Libia, ma anche per quelli sottoscritti con altri paesi di origine, come la Costa d’Avorio. Basta guardare a come sono cambiate le nazionalità dichiarate allo sbarco, che riguardano sempre meno paesi dell’area subshariana. Proprio per questo, conto di andare in Bangladesh e Pakistan per continuare a lavorare “alla fonte”.
Quanto alla violazione dei diritti umani, sottolineo che non viene praticata dai nostri partner del governo di questi paesi, ma dai trafficanti di esseri umani che loro vogliono combattere anche con il nostro aiuto. E così sta avvenendo, in Tunisia come in Libia. Finché non si capisce questo, la discussione pubblica su questi temi non farà mai passi in avanti. E intanto in Tunisia come in Libia stiamo portando avanti programmi di rimpatri volontari assistiti con risultati crescenti (23.000 nel 2024), con il pieno coinvolgimento di organismi internazionali come Oim e Unhcr. Abbiamo aumentato anche gli ingressi in Italia attraverso corridoi umanitari, oltre 1600 negli ultimi due anni. Lasciare tutto come prima, con la politica ideologica delle porte aperte a tutti o con la totale rassegnazione alla ineluttabilità dei traffici, sarebbe sicuramente molto peggio».
Moltissime città stanno disegnando zone rosse e proprio qualche giorno fa avete dato i numeri degli allontanamenti, moltissimi dei quali riguardano stranieri. Non crede che mandar via le persone pericolose dai centri e poi non farsi carico di reali e consistenti percorsi di integrazione in cui investire denaro sia solo buttare la polvere sotto il tappeto?
«I percorsi di integrazione sono importanti e ne pratichiamo tanti. Ma, come investimento, vanno rivolti a chi realmente dimostra di volersi integrare. Per il resto, è di prioritario interesse restituire sicurezza, anche nella percezione, ai cittadini che vivono nelle molte zone difficili delle nostre città. La eccessiva tolleranza non aiuta la convivenza. I risultati della prima applicazione di queste misure sembrano darci ragione, anche in termini di apprezzamento della gente.
Del resto, anche su questo tema si registra a volte una discussione schizofrenica: con gli interventi su Caivano e quelli programmati sulle altre sette aree degradate del paese individuate con il cosiddetto Decreto emergenze abbiamo puntato proprio sui percorsi di riqualificazione e integrazione, oltre che sugli interventi per la sicurezza. Eppure una certa opposizione ci critica lo stesso».
Che fine ha fatto il cosiddetto scudo penale che la maggioranza aveva annunciato di voler varare per le forze dell’ordine?
«I meccanismi di rafforzamento della tutela legale degli appartenenti alle forze di polizia sono previsti nel disegno di legge sulla sicurezza che pure è oggetto di contestazione, talvolta espressa in forma aspra e a mio avviso poco ragionata. Ecco perché confido davvero che possa essere approvato il prima possibile. Con la sua approvazione confidiamo, tra l’altro, di contribuire a sovvertire una situazione che si è consolidata negli anni nel nostro paese, che ha visto sostanzialmente depenalizzare alcuni dei comportamenti e dei reati commessi dai manifestanti violenti nei confronti dei rappresentanti delle forze dell’ordine. Insultare, spintonare, sputare su un poliziotto o addirittura aggredirlo durante una manifestazione sono rimasti troppo a lungo comportamenti impuniti e senza conseguenze».
Il 15 marzo a Roma si prepara una piazza molto partecipata, senza bandiere di partito, a sostegno di un’Europa forte e unita. Come vede l’iniziativa lanciata da Michele Serra su Repubblica?
«Non credo che il governo abbia bisogno di iniziative di piazza per confermare una posizione che Giorgia Meloni, prima di tutti, ha avuto: lavorare per un’Europa forte e unita, coltivando al contempo l’irrinunciabile alleanza strategica con gli Stati Uniti. Il governo Meloni è bene ancorato ad una chiara prospettiva atlantica, è solido ed esprime una linea pragmatica».
Quale?
«Una pace giusta tra Ucraina e Russia, un accordo che può avvenire solamente con gli Stati Uniti nel ruolo di attore protagonista e garante. Possiamo avere un rapporto privilegiato con l’amministrazione Trump e questo lo dobbiamo considerare un punto di forza, non di debolezza come qualcuno vorrebbe far passare».